Come ogni venerdì torna “Lettere dal convento”. Si tratta delle riflessioni e dei pensieri di fra’ Gianluigi Pasquale, Frate Minore Cappuccino Veneto.
Lettere dal convento
Francesco d’Assisi (1181-1226) era lungi dal pensare che un Papa avrebbe preso il suo nome, otto secoli dopo la sua irripetibile esistenza terrena. Eppure è successo, e Mario Jorge Begoglio (*1936) è stato il primo a farlo. E, probabilmente, non sarà l’ultimo. Accadono, infatti, nella storia umana delle convergenze che nessuno si sarebbe mai immaginato, ma che, proprio per questo, appaiono luminose ai nostri occhi e suscitano delle domande alle quali diventa ancora più interessante dare delle risposte. Francesco d’Assisi non è, in realtà, un santo come gli altri, perché tra tutti e tra tutte si “è guadagnato” l’attributo di essere un “altro Cristo” («alter Christus»). Glielo attribuì con l’enciclica «Rite expiatis» (1926) il papa lombardo di Desio Pio XI (1957-1939), in occasione del VII Centenario dalla nascita del Santo (1226-1926). E tutti i frati francescani del mondo si stanno adesso preparando all’VIII, che inizierà il 7 Gennaio 2023 e culminerà nel 2026. Perché, ci chiediamo allora, tutti i Papi durante e dopo la vita di Francesco d’Assisi si sono interessati a questo Poverello, fino ad assumerne il nome? La risposta sta qui: per il modo con cui Francesco visse il cristianesimo, innamorandosi completamente del Signore Gesù e, quindi, diventando il vero cristiano.
Si può raggiungere Francesco d’Assisi?
Tentare di capire San Francesco è un’impresa che non si conclude mai. Perché più lo si capisce, più se ne viene attratti a scoprilo ancora e meglio. Per questo alcuni hanno scritto più libri su di lui. Ci sarebbero vari modi per poter accostarci a questo giullare di Dio che nacque ad Assisi (PG), in Umbria, 840 anni fa. Il primo è indiretto e proviene dai frati francescani, che potremmo dire sono i “frati” per antonomasia perché si riconoscono suoi “fratelli”, e ne trasmettono la memoria. Eppure non lo incarnano. Perché ciò è impossibile. Certo, quando noi pensiamo a un religioso, anche oggi ci raffiguriamo quasi subito un frate, con il saio marrone, il cingolo bianco e i saldali ai piedi. Perché così li vediamo. Ma essi, anche se presi tutti assieme, anche se arricchiti dai frati “francescani” santi che si sono succeduti, come Padre Pio, essi non fanno Francesco. Vi è, poi, un modo diretto, e sta nel recarsi nella città di Assisi. È il viaggio da sogno, di tanti credenti, ma anche non credenti, che non vivono in Italia. Per una strana coincidenza della storia, questo meraviglioso borgo medievale della regione umbra si è mantenuto incorrotto, quasi si fosse ancora ai tempi di Francesco. In effetti, lì parlano le pietre, la natura e le chiese, un po’ come accade per Gerusalemme e per Lourdes. Per questa ragione tanti Papi, da San Giovanni XXIII (1881-1963) a Papa Francesco si sono recati in quella cittadina della pace, invitandovi pure i rappresentati di tutte le altre religioni del mondo, come avvenne nel memorabile lunedì 27 Ottobre 1986, l’inizio dello “spirito di Assisi”. Eppure, anche a questa modalità, Francesco sfugge. Perché succede che ci si avvicina (un po’) a lui, soltanto se si comprendono le sue tre intuizioni fondamentali: Dio, il fratello e il creato.
Dio mio e mio tutto
Francesco è un uomo che non persegue il «quaerere Deum», il cercare Dio, caratteristico di tutti i grandi fondatori di ordini e movimenti religiosi della cristianità, ma piuttosto si lascia cercare da Dio. Non si tratta di presunzione. Al Poverello è capitato proprio così. Alla pari di qualsiasi altro giovane di allora, di oggi e di sempre egli era dedito alla spiensieratezza che, nella festa goliardica, trova il suo apice e, possiamo dire, la sua giustificazione. Anzi, era il “giullare” delle feste, prima di trasformarsi in “giullare di Dio” ratificato nell’emblema del “Cantico delle creature”. Ma, allora, cosa accadde? Francesco si lasciò trovare da Dio quando un lebbroso dalle membra putride e maleodoranti gli venne incontro e Francesco, riconosciuto in lui e in quegli occhi umani il Figlio di Dio, lo abbracciò e lo baciò. In quel momento Francesco si convertì e capì il “segreto del gran Re”, cioè che soltanto incontrando un uomo o una donna martoriati nella loro carne uno intercetta Dio e da Lui si lascia incontrare. Per questo motivo esattamente, Francesco volle per tutta la vita essere povero e morire povero, anzi morire nudo sulla nuda terra alla Porziuncola in Assisi perché vide nel lebbroso ammalato e sofferente le membra vive e reali del Figlio di Dio, di Gesù, di cui si innamorò completamente.
Fratello, l’altro per me
La seconda grande intuizione di Francesco è, ancora una volta, indirizzata, se così possiamo dire, dalla Santissima Trinità. Dopo essersi lasciato incontrare da Gesù Cristo, il Poverello faceva di tutto per stare solo con lui. Quando vide, per esempio, uno speco vicino a Narni (TR), cioè una caverna incavata nella roccia, rassomigliandosi che fosse simile al costato di Gesù, vi si rifugiò per qualche settimana, contento di aver trovato un posticino sulla terra che simulasse le membra di Gesù. Lo stesso avvenne in varie occasioni sul monte de La Verna, nei pressi di Arezzo. Ma rimase da solo poco. Alcuni giovani, attratti dal suo esempio di vero e integro cristiano, come per esempio Angelo, Leone e Rufino, gli chiesero di poterlo seguire e di stare con lui. Francesco questo proprio non se l’aspettava. Tuttavia, vide anche in questa novità, una scheggia della volontà di Dio e incominciò a denominare questi primi compagni “fratelli”. Come recita il titolo dell’ultima (finora) enciclica (2020) di Papa Francesco, al Poverello sembravano “fratelli tutti”. Ma con un’ulteriore determinazione. Per Francesco il “frate” era un “altro per me” (per lui), non un “altro qualsiasi”, un altro che mi dice chi io sono e, quindi, senza il quale io non sentirei mai come Dio mi parla. Francesco intuì che quest’impresa dei frati non sarebbe stata semplice, ma in essa intravide il voto di obbedienza. A tal punto che, più innanzi, al fine di obbedire a Dio, egli disse che avrebbe considerato l’ultimo dei novizi come suo superiore se ciò lo avesse aiutato a comprendere e compiere la volontà di Dio. Appunto: un “altro per me”.
Il creato ha l’impronta di Dio
La terza grande intuizione del Poverello di Assisi, quella che lo ha reso più famoso e attuale, sta nell’aver capito che il creato trattiene l’impronta di Dio. Per questo è anche la più geniale e la più evangelica, come ci ha ricordato Papa Francesco nell’altra enciclica “Laudato si’” (2015). Sarebbe interessante chiedersi se saremmo arrivati ai cosiddetti “cambiamenti climatici” se soltanto avessimo ascoltato in parte questa terza intuizione di Francesco d’Assisi. Perché il Poverello non solo rispettava fin nei minimi dettagli l’ordine e l’armonia insiti nel creato, ma, soprattutto, perché ce ne diede la ragione: in ogni pianta, in ogni animale, in ogni minerale e nell’uomo vi è, con proporzione, una traccia del Creatore perché «tutto è stato creato per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,13). E così, Francesco, quando vedeva, per esempio, uno stormo di allodole, le invitava a lodare Dio perché – diceva – le loro ali si aprono in modo tale da formare con il corpo il segno e il simbolo santo della croce. E anche grazie al contatto salutare e “ingenuo” con la creazione, soprattutto con gli uomini e le donne, Francesco intravide la possibilità e il dono della castità. Perché con essa, per scelta, non ci si lega a nessuno e a nessuna, con l’unico scopo di legarsi soltanto a Dio.
Il senso dell’VIII Centenario
Dicevamo che i frati francescani celebreranno prossimamente l’VIII Centenario francescano: nel 2023, ricorderanno l’approvazione della “Regola non bollata” e il Natale di Greccio (PG), nel 2024 l’impressione delle sacre stigmate al primo uomo nella storia su il monte de La Verna, nel 2025 il “Cantico di frate Sole” e nel 2026 il “transito” al Cielo. Anche questo Centenario, però, per quanto importante, passerà. Non credo Francesco. Perché il Poverello ha vissuto ogni cosa e ogni attimo sulla terra come stesse già passeggiando nel giardino del Paradiso. Cioè ha capito che possiamo scorgere come limpido, pulito e incorrotto tutto ciò che noi usiamo, vediamo e gustiamo sulla terra, perché tutto, anche un animaletto o un fiore è innervato dalla forma di Gesù Cristo, come l’Apostolo Paolo ebbe già modo di constatare e di affermare (Rm 1,20). Porta l’impronta di Dio. Francesco d’Assisi lo aveva capito assai bene.