A 93 anni, don Antonio Mazzi confessa di non sentirsi vecchio. «Mi sono solo rotto le scatole. Fatico a infilarmi le calze e a vestirmi». Della salute non si preoccupa: «Mi hanno rimosso un tumore dalla testa, fatto l’angioplastica alle coronarie, messo il pacemaker, sono quasi cieco dall’occhio destro per una maculopatia. Ma finché il Capo non alza il telefono… La morte è diventata una compagna di vita».
Che cosa le ruba più tempo?
«La scrittura con carta e penna: testi per tre giornali, un libro appena uscito, due in cantiere. La lettura: cinque quotidiani al giorno. I ragazzi di Exodus che vengono a confidarsi, ma sono la mia vita».
Credevo la preghiera.
«Quella è “nel” tempo. Non me lo porta via. È diverso».
Ha chiesto udienza al Papa.
«Mi ha convocato lui, tramite la segreteria di Stato. Non a Casa Santa Marta, ma nel Palazzo apostolico, dove riceve la gente seria, infatti dopo di me c’era l’ambasciatore del Giappone, Seiji Okada, in visita di congedo. È la terza volta. Lo conobbi a Buenos Aires quand’era cardinale». (…)
«Accetto la convivenza, non il matrimonio. I figli hanno un padre e una madre».
Come le sembra Elly Schlein, neosegretaria del Pd?
«Mi è simpatica».
Dei sette vizi capitali, a quale ha ceduto di più?
«Me li devi dire». (Subito anticipa la risposta). «Superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia. Il terzo è il più antipatico. Mortifica il corpo, capolavoro di Dio».
Pensavo l’ira, tant’è focoso.
«Nervoso, più che altro. È diverso da rabbioso».
Che cosa la rende nervoso?
«Le situazioni dei ragazzi».
Tollera le droghe leggere?
«Non esistono. Gli spinelli sono totalmente diversi rispetto a 20 anni fa. Distruggono. Perciò sono contrario».
In che differisce il metodo Mazzi dal metodo Muccioli?
«Vincenzo era un grand’uomo. Ragionava così: piuttosto che si perdano, li rinchiudo a San Patrignano. Io invece ho sempre lasciato le porte aperte. Se vuoi andartene, va’. Conta di più la vita o la libertà? Grande domanda, eh!».
Qual è il peggior peccato?
«La disperazione». (…)
«È un Paese di egoisti. Un figlio non è come portarsi a casa un cane, richiede infinita pazienza. Ma non metterlo al mondo attiene più alla paura che alla cattiveria».
Come fa a parlare di Dio a giovani inebetiti dalla droga, dal consumismo, dai social?
«Si parla di Dio parlando bene dell’uomo. È che noi parliamo male dell’uomo e quindi anche di Dio».
Se fossi ateo, come mi convincerebbe che Dio esiste?
«Non perdo tempo a convincerti. Ti guardo negli occhi. Le persone non si salvano con i ragionamenti».
Mi dice qualcosa che non ha mai rivelato a nessuno?
«La morte di mio padre Ugo è stata la peggiore disgrazia della mia vita. Mi ha segnato in maniera irreparabile. L’ho vissuta come un’ingiustizia da parte di Dio. Papà era ferroviere, una broncopolmonite lo uccise a Valdobbiadene. Venne sepolto là. Non ho mai visitato la sua tomba. Mi è sempre mancato il coraggio di andarlo a trovare. Volevo immaginarmelo vivo».
Estratto dell’articolo di Stefano Lorenzetto per il Corriere della Sera
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