Don Giulio Dellavite ci conduce nella catechesi. La catechesi, cioè l’insegnamento a voce dei principi della religione cristiana, non è sapere qualcosa in più, ma conoscere meglio Qualcuno. Oggi ci occupiamo della Samaritana al pozzo.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?”. Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. “Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. Le disse: “Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui”. Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. Gli replicò la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. Gesù le dice: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. Le disse Gesù: “Sono io, che ti parlo”. In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Per riflettere
La vita è fatta di incontri. Ciò che siamo lo dobbiamo agli incontri che abbiamo avuto, alcuni dei quali hanno segnato profondamente la nostra storia. Ogni incontro comporta un rischio: può arricchire o impoverire, può aprire o rinchiudere. Il fatto che una donna vada al pozzo a prendere acqua a mezzogiorno nell’arida terra di Palestina, nel brullo deserto di Giuda, con il sole cocente e il caldo che appiccica la polvere alla pelle, indica tutto il suo desiderio di non voler incontrare nessuno. Non incrociare soprattutto gli occhi e i giudizi degli abitanti che conoscono la sua frammentata vita sentimentale. Si sente a disagio, fragile, con tante cicatrici sul cuore e con una sete di amore che nessun abbraccio ha colmato. Incontra uno sconosciuto, teme il solito dito puntato. Invece trova una mano aperta. Dio è lo sconosciuto, ma come una fonte, lui sa che non può spegnere la nostra sete, ma non si stanca mai di essere lì per noi.
Io sono colui che sono
In Esodo 3 Dio rivela a Mosè il suo nome “YaHWeH” che in ebraico significa “io sono colui che sono”, “io sono per te”. Per un ebreo è talmente importante il nome di Dio che non si può leggere e quando nel testo c’è scritto YaHWeH legge ADONAI cioè “il Signore”. Così come noi benediciamo o scacciamo il male con il segno della croce, i grandi Patriarchi scrivevano il nome di Dio. Gesù, lo sconosciuto, si presenta con il nome stesso di Dio: “Sono io che ti parlo”, “Io sono per te”. L’uomo spesso usa Dio partendo da un bisogno o in modo opportunista: vado da Dio perché ho un problema. “Dammi quest’acqua così non devo più venire al pozzo e far fatica”. Potremmo però anche dire che tutti i bisogni, tutti i desideri in qualche maniera sono una sete. Gesù ha sete, la donna ha sete, ha avuto sete di tanti uomini e tanti uomini hanno avuto sete di lei. C’è una sete di felicità in questa donna che inizialmente saremmo portati a giudicare negativamente lasciandoci contaminare da giudizi e pregiudizi. Le dice infatti Gesù: “hai detto bene non ho marito; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. Quanto grande era la sete di amore e di felicità di quella donna. Nessun amore umano era riuscito a dissetarla veramente, e anche il suo ultimo amore era destinato a lasciarle la bocca amara e secca.
La sete di Dio
C’è una sete di Dio che questa donna manifesta quando chiede a Gesù: “Ma insomma qual è la Chiesa giusta, da che parte bisogna andare, perché non vi mettete d’accordo?”. Come vedete i problemi di ieri sono anche quelli di oggi. Tutte le seti sono sete di Dio. Anche Dio ha sete dell’uomo. Gesù l’approccia “Donna, dammi da bere”, risponde in una maniera scorbutica, perché dice: “Ecco, un altro!”, perché anche Gesù è un uomo. “Un altro, lo so bene dove vuole arrivare”, avrà pensato la Samaritana. Ma Gesù è più furbo, Gesù vuole conquistarla veramente: è la sorgente dell’amore. Il primo miracolo di Gesù è farti guardare per come sei fatto. Gesù non ti vuole far sentire in colpa per ogni cosa che fai, ma vuole guardare dentro quel panorama meraviglioso che è il tuo cuore. Gesù non si vergogna di manifestare la sua stanchezza e di chiedere alla donna un po’ di sollievo. Noi viviamo di incontri che talvolta diventano scontri. Gesù è stanco e anche noi siamo stanchi di tante cose, ma di altre, seppure superflue, non ci stanchiamo mai, anzi ne siamo continuamente attratti, risucchiati. Quante volte invece noi siamo incatenati a tante “piccole” cose che abbiamo fatto diventare “grandi”, perché ci danno sicurezze.
Incontrare noi stessi
Il Vangelo vuole aiutarci anche a incontrare noi stessi. Quando si pianta una rosa, nessuno osa criticarla perché è debole e non ha radici profonde, ma si aspetta. Eppure, la rosa è rosa, dalla talea messa nel terreno fino all’istante in cui, trascorso il suo periodo di splendore, appassisce. A ogni stadio – talea, bocciolo, fiore – la rosa esprime il meglio di sé. E nel massimo splendore ha le spine. Anche noi, nella nostra crescita, nella vita e nella fede, passiamo per vari stadi: dovremmo imparare a riconoscerli, prima di criticare la lentezza dei cambiamenti. Non lasciamoci logorare dalla sete. Quella donna arriva aggrappata alla sua brocca e se ne va lasciandola al pozzo. Dettaglio interessante. Arriva con un vaso vuoto, se ne va con un cuore pieno. Arriva con gli occhi bassi, se ne va con la testa alta. Arriva lenta, chiusa su di sé, se ne va correndo con l’annuncio di una buona notizia da condividere. Dio non ci darà mai una gomma per cancellare il passato, ma ci dà ogni volta una penna per scrivere il futuro.
L’incontro con Gesù
L’incontro con Gesù è contagioso. Dal bisogno iniziale si passa alla curiosità che diventa poi dialogo che mette in questione e si fa infine testimonianza. Sono le tappe della fede. “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto”. Matura in un’adesione fiduciosa. I compaesani dicono alla donna “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché abbiamo udito”. Hanno “com-preso”, hanno fatto loro una relazione. Che il Signore ci faccia bruciare così tanto di sete interiore da avere la forza di scavalcare il muro del nostro specchio oltre questo possiamo trovare la sorgente della vita. E ci stupiremo di trovare Dio seduto al bordo del pozzo del quotidiano ad aspettarci. Lui è lì proprio per me. Chiediamoci: Mi so ripetere che la vita è bella comunque e nonostante tutto? Da dove nasce la mia gioia: dall’essere amato o dall’avere qualcosa? Mi sforzo di trovare il lato positivo, anche quando c’è da stringere i denti? Mi accorgo di essere tutto sommato un fortunato? Mi so proporre degli obiettivi per migliorarmi? Rimando sempre a domani quello che posso fare oggi? Mi lamento sempre di tutto o so emozionarmi del bello della vita degli altri? Ho il coraggio delle mie idee? Sono un brontolone, solo perché forse sono scontento di me stesso?