Michele ha ucciso: “Tanti uccidono, purtroppo!” dicono. Lui, però, non ha ucciso solo: l’ha fatto in modo così barbaro d’aggiungere, all’omicidio, un’inutile ferocia. La sua città ha perdonato certi omicidi con l’amnesia: il suo, invece, è un fermo immagine spedito all’eternità. Il gesto, nel tempo, si è fatto così grande da oscurare persino chi l’ha compiuto: “Il mostro”, lo chiamano. Il suo nome è stato inghiottito vivo dal delitto. La galera gli ha riservato il peggio, ch’è il meglio in galera: botte, pugni, testa aperta dagli sgabelli, provocazioni per cercare di farlo delirare: “Ha ucciso: a morte!” Anche altri sono dentro perchè han ucciso: lui, però, ha ucciso così (ti fanno il gesto di chi taglia un pezzo di legno). È il “come” a fare la differenza su capi d’imputazione apparentemente uguali.
La prima boccata d’aria
Dopo tre lustri, l’altro giorno è uscito per la prima “boccata d’aria”: nessuna scappatoia. La legge, quella che imploriamo d’esserci, lo prevede: “Siccome in Italia non c’è la pena di morte, da qualche parte bisogna ricominciare”. Appena uscito, tremava spaesato: cercava le manette, la Polizia. Non immaginava che la libertà, a toccarla, bruciasse così. La detenzione, dopo anni, diventa quasi una sicurezza: la libertà resta un grosso rischio. Al bar si è stupito del rumore delle tazzine, delle voci soffuse, della confusione composta. Le macchine lo impaurivano più di eventuali giornalisti: ad oltre cinquant’anni voleva una mano per attraversare la strada. Poi, dopo qualche ora, abbiamo trovato una vecchia pista d’atletica: era rovinata, il manto sconnesso: “Vai, corri un pò: gli ho detto!”
I primi passi
Mi sono seduto sulla panchina, a guardarlo da lontano (ri)fare i primi passi. E mai, come in quell’istante, mi sono sentito un allenatore. Anni fa, assieme alla comunità del carcere, l’abbiamo trovato malmenato, con il cuore spento, il futuro compromesso. Ignorato: “Una bestia non uccide così!” Ci abbiamo scommesso tempo e reputazione: la coscienza dell’uomo è il materiale meno consigliato da lavorare per chi ha paura di macchiarsi il suo bel volto. L’abbiamo visto fare un passo avanti, quattro indietro, poi tre avanti: avanti e indietro. Sempre un po’ più avanti, un po’ meno indietro. Qualche giorno fa l’abbiamo rimesso in pista: è la legge a chiedercelo, auspicandolo. Lo guardavo camminare e pensavo che, d’ora innanzi, il destino di noi che ne abbiamo fatto la nostra scommessa non dipenderà più da noi ma dalle sue libere scelte. Come ad un allenatore che, al momento della competizione, non rimane altro da fare che contemplare ciò che, allenando, è riuscito ad accender e nel suo atleta. O a non accedere. (Sulla strada di Emmaus).