La salita al Cielo di Papa Benedetto (1927-2022) significa anche la scomparsa di uno dei Papi teologi più illuminati e colti della storia della Chiesa. La pubblicazione del “Catechismo della Chiesa Cattolica”, promulgato l’11 Ottobre 1992 da san Giovanni Paolo II (1920-2005), fu, per fare soltanto un esempio, il termine di un ingente lavoro guidato da una Commissione di esperti presieduta dal Cardinale Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione (oggi Dicastero) per la Dottrina della fede, che si protrasse per ben sei anni. La chiarezza, la profondità e l’esaustività della dottrina del teologo Ratzinger pulsano ancora in sottofondo a questo testo fondamentale per la fede della Chiesa intera oggi. Sarà interessante, però, scoprire la radice che alimentò il giovane sacerdote tedesco ad assumere la veste di teologo e a diventare uno dei Professori più eminenti di teologia fondamentale nelle Università in Germania.
Solo nella Chiesa si trova la salvezza
Joseph Ratzinger ottenne il dottorato in teologia nel 1953 a soli ventisei anni, conseguendo, poi, la libera Docenza nel 1957, a trent’anni. Prima di iniziare il lungo percorso che lo avrebbe portato a questo traguardo, il giovane don Joseph scelse di studiare non tanto san Tommaso d’Aquino (1225-1274), ma il «dottore serafico», san Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274). Nella scelta fu guidato dall’intuizione di osservare come viene interpretata la storia da questo francescano italiano. Nel medioevo, così scrive Ratzinger, la visione della storia fu “sconvolta” dalle interpretazioni profetiche del monaco calabrese Gioacchino da Fiore (1135-1202), secondo il quale la salvezza non sarebbe arrivata dalla Chiesa, ma dalla “età dello Spirito”, dalla Chiesa spirituale. L’avvento successivo di San Francesco d’Assisi (1181-1226), che non lesse le opere di Gioacchino, né questi poté conoscere Francesco, agitò, tuttavia, alcune frange di francescani che identificarono il profeta foriero dell’età dello Spirito con il Poverello, deducendo che la salvezza non viene dalla Chiesa, ma solo dallo Spirito, quindi dall’esterno. Fu grazie al frate francescano San Bonaventura, però, che si riuscì a sedare questo avventato movimento di riforma, indicando, invece, come proprio san Francesco avesse detto esattamente il contrario: ossia che si incontra la salvezza dentro la Chiesa, in modo povero, ubbidiente e casto. La realtà della salvezza dentro la Chiesa è la prima “scoperta” che il giovane teologo Ratzinger ottenne leggendo tutte le opere di San Bonaventura. Ma ve n’è un’altra.
Determinante al Concilio Vaticano II
Nonostante l’acume e l’intelligenza investigativa che lo contraddistinsero per tutta la vita, anche da Pontefice, il percorso per terminare il proprio lavoro di tesi fu per il giovane Ratzinger piuttosto accidentato. Infatti, il relatore della tesi, il Prof. Michael Schmaus (1897-1993), bocciò la seconda parte della sua tesi, acconsentendo alla pubblicazione soltanto della prima, e facendo dire a Ratzinger: «mi sembrava che tutto il mondo mi stesse crollando addosso» (Joseph Ratzinger, La mia vita. Autobiografia, p. 92). Pochi ne conoscono, però, la ragione. Anche se è “tecnica”, è molto interessante. Fino a poco prima del Concilio Vaticano II (1962-1965) i teologi, assieme al magistero, erano convinti che due fossero le fonti della Rivelazione cristiana: la Scrittura (la Bibbia) e la tradizione. E che da entrambe si potessero estrapolare verità certe. Ratzinger, invece, si accorse che san Bonaventura affermò esservene solo una: la Scrittura portata avanti dalla tradizione, come avviene con i “racconti in famiglia”, dove si racconta (tradizione) e dove si guardano le fotografie (Scrittura). Così affermava la Chiesa, peraltro, anche nei primi secoli. Ovvio che la dottrina dell’“unica fonte” risultò inaccettabile al Prof. Schmaus perché troppo “moderna”, provocando il rifiuto della seconda parte della tesi. E, invece, la (ri)scoperta fatta da Ratzinger, grazie allo studio del francescano Bonaventura, fu fatta conoscere, dallo stesso Ratzinger, ai padri del Concilio Vaticano II, il cui testo sulla Divina Rivelazione «Dei Verbum» parla, infatti, dell’unica fonte della Rivelazione, che è, poi, la persona di Gesù Cristo.
Come Francesco, discepolo di Gesù
In breve: l’amore singolare che il Poverello di Assisi nutrì per la persona di Gesù contagiò Bonaventura, sedò Gioacchino, fu riscoperto da Ratzinger ed entrò nelle pagine del Concilio Vaticano II: ad esso Joseph Ratzinger partecipò come giovane “perito”, ma fu come successore di Pietro che fece di tutto per viverlo e diffonderlo. Questo amore cristologico, sarà certamente il segno che Benedetto XVI lascia alla storia della Chiesa e di tutto il pensiero.