Comincia oggi la pubblicazione, a puntate, dei contenuti del libro “Sono giovani i santi”, di fra’ Gianluigi Pasquale, edito da “La Fontana di Siloe” di Torino nel 2018. Le parole di questo venerdì ci raccontano il senso dell’opera.
Sant’Agostino
Introduzione
Questo libro è stato scritto per ottenere serenità. Sentimento che ci pervade leggendo la vita di alcuni tra i tanti che sono riusciti ad ottenerla assumendo i lineamenti del volto di Gesù, il più bello tra i figli dell’uomo (Sal 44,3): i santi e le sante. Proprio nell’anno del «Sinodo sui Giovani», il 2018, anche il primo Papa della storia che porta il nome del Poverello di Assisi, Francesco, ho còlto nel segno menzionando nella Lettera del Documento preparatorio l’anelito alla santità che tutti, giovani per primi, conservano nel cuore. La serenità, però, non è soltanto un «sentimento», un “sentire” della mente. Sarebbe passeggero, perché noi oggi ci scordiamo molto e spesso, almeno di quanto non è stato registrato nella memoria dell’Iphone. È, piuttosto, una forma d’essere stabile che si ottiene quale dono di Dio, quando ci si accorge di essere amati da lui e, di conseguenza, ci si impegna un po’ alla volta a rispondere amando a nostra volta. Oggi, infatti, la più sublime missione dell’uomo e del cristiano è quella di trasmettere serenità attorno a sé. Di saper sdrammatizzare. Veicolando l’esatto scenario messo in essere dai telegiornali, dai giornali, dalle interviste, dai blog, dai messaggini di Whatsup. Che, di solito, sono perfetti generatori d’ansia, completamente infondata. Rasserenare, amando, è la missione del XXI secolo. Non quale ascesa del crinale di un percorso psicoterapeutico, solitamente piuttosto irto, bensì quale ridiscesa dal monte di Dio, su cui nel buffetto del nostro volto si è percepita la brezza di un vento leggero (1Re 19,2). È quella carezza di un angelo – stando alla tradizione ebraica – in quel momento della nascita cha sta a cavallo tra il dentro e il fuori, che provvede a cancellare ogni cosa. A questo gesto, a questo buffetto angelico, risale quella fossetta del viso che sta collocata tra il naso e le labbra, ma soprattutto è ad esso che dobbiamo quell’eterna fatica di conoscere che ci tiene in vita e che, in fondo, non è altro che memoria, nostalgia di ricuperare la totalità perdita. Quattro sono i motivi che mi hanno spinto a scrivere questo libro, dove troveremo il tratteggio – a mo’ di pennellate – del volto di quindici tra «sante e santi». Nel dichiararli, svelerò anche alcuni segreti, preferendo – come uso fare di solito – l’utilizzo della pagina scritta, piuttosto che del rivelarli verbalmente, sapendo che solo alcuni leggono tra le righe. Vediamo, allora, assieme questi quattro motivi e, così, si (s)copriranno anche quelli.
Papa Francesco: una “calamita”
Il primo motivo è dovuto a una potente, quanto attraente, «calamita»: Papa Francesco. Il suo magistero, af-fascina. Cioè attrae nell’amalgama di un creativo combinato tra gesti e parole. Per gli addetti ai lavori, egli persegue al meglio quanto «Dei Verbum» n. 2 chiede sia fatto, al fine di trasmettere la Divina Rivelazione, mettendo insieme gesti e parole, «tra loro intrinsecamente connessi». È stato il primo Papa nella storia, e della storia, ad aver chiesto pubblicamente perdono per una parola – quella parola «prova» – “erroneamente” utilizzata nel recente viaggio in Cile, Amazzonia e Perù (Gennaio 2018), ma è anche il primo Papa che non si vergogna di dire che, quando ha bisogno di una grazia, si rivolge alla giovanissima Santa Teresa di Lisieux (1873-1897), aspettando che Gli arrivi la risposta con quella rosa bianca che, eventualmente, cade sulla sua scrivania. Oppure che non cade. Ecco la calamita: il ri-volgersi ai giovani santi, o sante, e il fatto di dire che così si fa. Nessuno osa mettere in dubbio che lo scenario in cui si è innestato questo pontificato sia, appunto, uno scenario con folate d’aria talvolta turbolenta. Eppure la serenità non lascia Papa Francesco. Come, infatti, ho percepito quando mi ha «scovato» uscire – per la pausa – dalla porta della cabina dove stavo facendo da interprete alla Plenaria del Sinodo dei Vescovi in Vaticano lo scorso Ottobre 2017 e, salutandoci serenamente, è partito anche un (quasi) selfie, scattatoci, però, da un addetto laico del Dicastero. In questo caso, la serenità diventa familiarità e viceversa. Non credo sia un caso questo “rivolgimento” ai santi, soltanto se uno pensa alla «casa» scelta da Gesù, il Figlio di Dio, quando si sentiva stanco: andava in quella di Pietro (Lc 4,38).
Faustina Kowalska
La seconda ragione che ha «provocato» questo libro è dovuta a una serie di coincidenze e convergenze, tra loro annodate, che hanno a che fare con un’altra giovane santa: Faustina Kowalska (1905-1938). Ne parleremo a breve. Per chi qui scrive, però, questa era collocata, rispetto all’esistenza, come il polo Sud rispetto a quello Nord. Ma appunto, prima di muovermi «per il suo pianeta», ossia leggendo il suo Diario, anche se – sinceramente – non so (ancora) su quale meridiano io mi sia effettivamente stabilizzato. Giovani che in alcune metropoli della Penisola ero venuto a sapere conducevano un’esistenza «della notte» – in tutti i sensi, anche per raggranellare qualche soldo – hanno, poi, «preso il largo». Chi li avesse voluti (ri)trovare, li avrebbe rintracciati in uno di quei tanti gruppi di preghiera, dove si recita la «coroncina della Divina Misericordia». E perfino assunti in un nuovo lavoro, alla luce del giorno, con contratto a tempo indeterminato. Perché – come leggeremo – i santi e le sante non intercedono solo per il nostro bene spirituale, ma anche per le nostre oneste necessità materiali. In un’altra categoria, ma sempre tra i giovani, vi è, per esempio, Pietro, un classico e bravo cattolico italiano. Conosciuto nel 1993, sposato con figlia. Praticante e animatore del coro in Parrocchia. Ventidue anni dopo, si ammala di un male incurabile Emanuela, sua sorella. Della stessa pasta di Pietro: cattolica, credente, praticante, sposata, con bambini. Pietro ed io visitiamo Emanuela in una Città del veneto «bianco».
Una fonte di serenità
Emanuela ha un segreto. Perché nonostante sapesse che di lì a poco, a causa della malattia, avrebbe lasciati orfani i propri due figli, trattiene e trasmette una serenità perfettamente dirimpettaia alla gravità del cancro. Nel lasso dei due anni rimastigli di vita, Emanuela, prima di volare in Cielo nell’autunno del 2017, rivela a Pietro la fonte della propria serenità: il Diario di Santa Faustina Kowalska. La normalità della «pasta» di Pietro cambia radicalmente, come si legge in questo breve stralcio di un suo «Whatsup» del Gennaio 2018: «Io sono stato stravolto dall’amore di questa suora, mi ha cambiato proprio dentro dandomi pace vera riuscendo a comprendere che il male, il diavolo, non vuole fartela conoscere, non vuole farti capire che, se ti penti per davvero, Gesù ti salverà». Per coincidenza lo stesso 12 Gennaio 2018, un mio grande amico di Milano, il filosofo e psicanalista Umberto Galimberti (*1942) mi inviava, con dedica manoscritta, il suo ultimo libro dal titolo eloquente: La parola ai giovani[2]. In questo frangente, la coincidenza, assumeva i panni della divergenza perché la tesi dell’amico filosofo di Milano – il nichilismo nei giovani da passivo è diventato attivo – strideva con il «buon annuncio» del tessuto esistenziale e narrativo del messaggio di Pietro, che si prese la «Parola». Messaggio che, vorrei essere chiaro, con molta cautela deve essere immediatamente rubricato quale «ingenua transumanza», ovvero sdolcinatura sentimentale di un fedele cristiano. Sia per il delicato impiego lavorativo che Pietro esercita da decenni, sia perché agli occhi dell’esegeta e del teologo di professione parole come «pace», «conversione» e «Gesù ti salverà», vanno valutate nella possibile prudenza di prenderle sul serio, perché «en théologique» dànno molto da pensare.
I giovani della Pastorale Giovanile Universitaria Lateranense
L’entusiasmo irroratomi dai giovani della Pastorale Giovanile Universitaria Lateranense – quelli e quelle della Pontificia Università del Laterano in Roma – costituisce la terza ragione delle pagine a seguire. A loro, infatti, è cordialmente dedicato questo libro. Anzi, il titolo «Sono giovani i santi» mi è stato da loro inconsapevolmente suggerito, dopo il ritiro d’Avvento, trascorso in Assisi, la Città dell’umile San Francesco, come d’autunno dai mille colori, lo scorso Dicembre 2017. Chi qui scrive, può solo ringraziare il buon Dio, e i Superiori, per aver trascorso vent’anni di Docenza, dei miei venticinque da sacerdote, nelle aule Universitarie di Venezia, Milano e Roma. Perché Università sta in equazione con giovani e viceversa, nel comune algoritmo della comunità formativa ed educante. Appunto, dei giovani che, lasciandosi ispirare interiormente dalla vita nello Spirito Santo, non temono – come quelli che ho conosciuto – di smarcarsi dal luogo comune di «esseri da app(lication)s». Credono, cioè, nel valore della preghiera, del silenzio, della purezza, della generosità, della vita di fede, di quella sacramentale ed ecclesiale, del sacrificio, di: saper attendere. Sono stati loro a scegliere: di conversare con una giovanissima figlia di Santa Chiara, Monaca di Clausura, in Assisi per quasi due ore; di accostarsi al sacramento della riconciliazione, del perdono, all’Eremo delle Carceri, a San Damiano, allo «Speco di Narni», luoghi in cui si scorgono ancora le orme di San Francesco. Chi potrà dimenticare, a questo proposito, il tessuto narrativo ed esistenziale di Caterina o di Ettore? Mi hanno proprio addossato, contagiandomi, l’entusiasmo di essere a «primavera», come ebbe modo di dire il «loro» San Giovanni Paolo II (1920-2005)[3]. Risollevando in me la consolazione che con la nostra esistenza si può davvero ricamare una vita sensata, la quale raggiunge la propria saturazione nella logica del dono.
Un nodo alla gola
La quarta, benché non ultima, ragione stringe come un nodo alla gola. Ma va detta. Ho incontrato tanti giovani gravemente ammalati che sono andati incontro a Gesù salvatore aggrappandosi ai santi, prima di chiudere gli occhi nella pace con sorella morte. Anche in questo caso è vero «sono giovani i santi». Mi ricordo del diciasettenne Nicola, che li chiuse nella vigilia di Natale del 2015 stringendo tra quelle mani innocenti l’effige di Padre Pio, mio confratello. Di fra’ Vigilius Djohan Gunaedì (1964-2014), un giovanissimo Cappuccino Indonesiano che io scrutavo nelle notti sul terrazzo del Collegio Internazionale «San Lorenzo da Brindisi» in Roma, recitare di sera, dopocena, il Santo Rosario con una coroncina – impossibile dimenticare – tutta a granellini colorati. Appunto recitando il Rosario di sera sul tetto del Collegio: come tanti altri Cappuccini, adesso, loro, vescovi al servizio della Chiesa. Devotissimo del proprio patrono, che è il Santo di Trento, anche se il male lo aveva quasi del tutto compromesso nel potersi muovere, appena gli era possibile lasciava Roma e andava sulla tomba del terzo vescovo di Trento, San Vigilio martire (355-405). Di Assunta († 2018), che ha scelto il «sì» alla sofferenza, offrendola per anni a beneficio della fedeltà dei sacerdoti e per l’unione degli sposi cristiani. Stringendo sempre tra le mani una reliquia «ex ossibus» della Beata Eurosia Fabris Barban (1866-1932), mia bisnonna materna, conosciuta da Assunta attraverso un figlio sacerdote di «Mamma Rosa», come è chiamata. L’elenco potrebbe continuare e ogni lettore avrebbe – giustamente – un altro nome da appuntare. Ma, ne sono certo, tutti si sono af-fidati ai santi, ottenendo l’autentica guarigione che – nessuno oserebbe pensare il contrario – sta nell’abbraccio con Gesù, sposo (Ap 19,8), nel per sempre dell’eternità. È quell’unione eterna la salvezza definitiva. Le altre, per quanto auspicabili, sono a termine, “finite”.
I ritratti dei santi e delle sante
In realtà, in tutte i ritratti dei santi e delle sante che verremo a leggere si notano delle caratteristiche comuni. La prima – e la più lampante – sta nel «dettaglio» per cui Dio attira alla santità smuovendo il cuore del destinatario, fin in tenera età, dando, per così dire, «voce ai bambini». Ne è nata, così, una cornice di quindici ritratti di quelli che «sono santi i giovani», suddivisi in tredici agili capitoli, poiché nel terzo sono stati incorporati i tre «pastorelli» di Fatima. Tutti sono accomunati dal meraviglioso «filo rosso» di aver udito la suadente chiamata di Dio fin da piccini, proprio come il piccolo Samuele (1Sam 3,4), mentre il criterio cronologico di successione sta in quella che è nata più vicina a noi, Bertilla Antoniazzi, fino a colui, Marco d’Aviano, che nacque più lontano dal nostro presente, pur godendo di incredibile attualità. Mantenendo questo solo criterio, non viene, pertanto, creata distinzione alcuna tra donne e uomini, laici, religiosi o sacerdoti, santi o beati, essendovi, infatti, pure il ritratto di una giovane ventenne che “ancora” è soltanto «serva di Dio».
Uno stile agile
La seconda caratteristica sta nell’aver volutamente utilizzato, per ogni ritratto, uno stile agile che risulti il più semplice possibile, appassionando alla lettura mediante la descrizione, soprattutto, dei tratti biografici e del «sogno» centrale che ha retto l’esistenza del tutto irripetibile di ciascuno e di ciascuna. Ma non per questo inimitabile. Motivo per cui, per esempio, le note a piè di pagina sono ridotte al minimo o assenti del tutto. Con la tecnica del page-turn-over, il lettore sarà, poi, introdotto, piano piano, a vedere come è «andata a finire», anche se – è risaputo – la vita di un santo o di una beata, non cessano mai. Per questo nell’Indice è stata indicata la sola data di quando «vennero alla luce» in questo nostro mondo.
La santità inizia dai giovani
La terza caratteristica, la più importante, coincide con lo scopo sotteso a questo volume, scritto osservando giovani santi in occasione nell’anno del Sinodo (2018) loro dedicato. Nello scrivere queste pagine mi sono, infatti, oltremodo convinto che la santità inizia dai giovani ed è loro afferente come chiamata alla felicità e all’autenticità di vita. Non si tratta di una mera deduzione da ciò che si verrà a leggere, come se i quindici ritratti qui pennellati fossero rubricati, cioè (rin)chiusi, nel passato, per quanto recentissimo. Si tratta, invece, di una sincera quanto avvincente constatazione, che promana dal positivo contagio di saper stare assieme, conoscendoli, ai giovani o per motivi di insegnamento universitario, o di pastorale universitaria o, semplicemente, perché conosciuti nel loro mondo interiore. Non è vero che sono tutti «schiavi» della quotidiana dipendenza dal video dei più sofisticati computer, o da quello al plasma dei telefoni cellulari, né sempre «on line» nelle «chat», come talvolta si osserva in treno. Ci sono ancora quelli e quelle che sanno «prendere il largo» da queste maglie e ritornare alla «terra senza il male» in cui sono nati.
Il cambiamento d’epoca
Il libro, insomma, intercetta come positivo il «cambiamento d’epoca» che stiamo vivendo, il quale chiede di avere il coraggio di allontanarsi dalla riva e affrontare il mare aperto. La nave di Pietro, trasmutata nella nave di Paolo al capitolo 27 degli Atti degli Apostoli, può sembrare di rischiare il naufragio. Ma siamo forti della parola del Signore: nessuna vita sarà perduta (Gv 6,39-40), come ebbe modo di riferire in Gloria il teologo svizzero H.U. von Balthasar (1905-1988): «Ancora adesso, nelle terre di Carewall, tutti, raccontano quel viaggio […]. Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume per noi. E qualcuno – un padre, un amore, qualcuno – capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume – immaginarlo, inventarlo – e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo, davvero sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce la vita, qualunque vita. E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare. Farsi ferire, anche. Morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe finalmente, umano»[6]. Per questo, prima di dire un «Amen» al termine di ogni nostra preghiera, ricordiamoci che Dio, quel bambino umano che è in noi, ci sta ascoltando. Perché i giovani santi ci insegnano che Dio ascolta soprattutto la voce dei bambini, anche quando sono vecchi, da ché la santità non ha età, nel campo della terra senza il male in cui sono – e siamo – nati.