Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
La carità cappuccina
La carità cappuccina non può negare la via verso Dio al «litterato» ma la posizione di Fra Tommaso è netta: possiede quella «umiltà e dignità» di cui parlava il Gioberti ribadendo, ma senza orgoglio, la propria ignoranza, consapevole che è attraverso la semplicità che Dio stesso parla attraverso la sua prosa.
Amore testimone del Vangelo
Questa idea, dell’amore che è il migliore testimone del Vangelo, superiore anche ai «termini scolastici», ritornerà del resto, secoli dopo, nella esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi del beato Paolo VI: «Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d’amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare “le grandi opere di Dio”, che l’hanno convertita al Signore, e d’essere nuovamente convocata e riunita da lui. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo» (EN, 15), poiché «E tra tutti, il segno al quale egli dà una grande importanza: i piccoli, i poveri sono evangelizzati, diventano suoi discepoli, si riuniscono “nel suo nome” nella grande comunità di quelli che credono in lui» (EN, 12).
Il Discorso della Montagna
Fra Tommaso trae, quindi, le proprie conclusioni, sulla scorta di quel momento fondamentale e fondante che è il Discorso della montagna (cfr Mt 5,1-16), dandone una sua versione.
Oh quanti nel mondo sono giudicati pazzi, vili, abietti, poveri e piccioli stimati, sprezzati, vilipesi, confusi, perseguitati, calunniati, percossi, odiosi a gl’uomini, e nondimeno saranno tesori, gioie, margarite nei occhi di Dio! Questi tali seguitano il suo Signore per via incognita al mondo, ma palesa a Dio, perché seguitano quel Dio che per loro amore si fece vile: ego sum vermis, et non homo, opprobrium hominum, et abiectio plebis [Ma io sono un verme e non un uomo, | rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente]. Sal 22(21),7. E però questi tali innamorati del suo Signore dicono ancor essi seguendo il suo Signore: [noi stolti a causa di Cristo (lCor 4,10)]. O Cristo mio, quanto sete voi dolce e soave a chi v’ama! O Dio, ché non è capito dal mondo il vostro amore! O Dio, ché da pochi è seguita questa via d’amore! O buon Gesù, aprite gl’occhi a gl’ottenebrati acciò vegano la luce del vostro amor, poiché quelli che capiranno il vostro amore capiranno anco quelle cose che mostra l’amore. (Scala, 190)
L’umiltà
Ma sarà sempre l’umiltà il segno distintivo.
E però il vero contemplativo tanto quanto sarà inalzato nelli divini misteri, tanto anco con maggior sentimento s’abbassarà sino nel profondo; e tanto quanto che Dio con la sua chiarezza illuminarà l’uomo, tirandolo a vedere le sue meraviglie, anco l’uomo s’asconderà nelle sue oscurità, tenendossi vilissimo, indignissimo di tanti favori e grazie, nascondendossi nella sua nihilità: e non solamente di fuori si conoscerà da niente, ma anco nel suo interno s’abbassarà a tutti, si porrà sotto i piedi delle più vili e basse creature del mondo. Ama le persecuzioni, le calumnie, i vilipendi; giudica tutti rettamente, conoscendossi tra tutte le creature la più vile. Ha una confidenza accompagnata con un santo timore; non teme l’Inferno né qual si voglia incontro, ma solamente teme il suo Dio; in tutte le cose vede il suo Dio, tutte le cose fa opera di Dio e per Dio. (Scala, 208-209)
L’unico oggetto degno di contemplazione
C’è, in questa descrizione, poca della natura «gioviale e spiritosa» attribuita dal Cargnoni al prototipo del frate cappuccino, ma siamo qui oltre l’apparenza, diciamo così, mondana, e Fra Tommaso sta invece scavando nel significato più profondo, anche più intransigente, di umiltà, poiché, se un uomo «si porrà sotto i piedi delle più vili e basse creature del mondo», avrà dominato ogni moto d’orgoglio, ogni passione più penosamente umana, quasi istintiva, concentrato, com’è, sull’unico oggetto degno di contemplazione: Dio.
Non pensi già mai alcuno di salire a questa celeste scalla della santa perfezione se prima non s’abbasserà sino al profondo. E se bene l’umiltà pongo per fondamento sopra del quale s’ha d’edificare l’edificio della scalla che pretendo insegnarvi, nondimeno questa virtù è santa, perfetta, che dà perfezione ad ogn’altra virtù. E però debbi da Dio imparar quest’umiltà, acciò, avendo questo fondamento, t’appaia facile la salita della perfezione; e quanto che con maggior perfezione la farai prattica l’umiltà, anco con maggior facilità la farai pratticabile. Iddio ha posto ogn’altra virtù nell’umiltà ed ogni bene, e sappi, se fedelmente t’umiliarai a Dio e a tutte le creature per amor del creatore, comincerai prima a conoscer la tua bassezza e il tuo niente nel tuo intimo, vedrai che sei un vermicello fetente, da niente. (Scala, 232; non a caso il capitolo 23 è intitolato L’umiltà è il fondamento della scalla di perfezione)
Giunto a questa condizione di annientamento di sé, il fedele sente davvero, attraverso la pagina di Fra Tommaso, la parola stessa di Dio.
E si bene vedrai li empi essaltati, onorati e stimati, saranno nondimeno da me sprezzati, derelitti; e vedrai li amici miei abbassatti, umiliati, perseguitati, posti in ultimo esterminio, giudicati dal mondo indegni di vita, li vedrai appresso di me favoriti, accarezzati, essaltati: e saranno nella mia corte onorati e stimati. E vedrai uomini, donne ignoranti e semplici, dal mondo calpestrati, nella mia corte applausati, stimati, sublimati da’ miei corteggiani. (Scala, 337)